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118 | pontano |
a trovarmi, mentre io mi riposavo dentro la mia botte; e, non c’è che dire, mi fece molto onore. Ma io temevo che, quando egli fosse partito, quei maleducati di soldati che aveva al suo seguito mi dessero noia, e volessero farmi ribaltare giù per la scesa con tutta la mia botte. Allora che cosa feci io! Avevo mangiato della polenta di castagne, e poi un’insalata cotta di foglie di rapa con cavoli e cipolle... E il ventre mi brontolava assai... Raccolsi tutte le mie forze, e feci una scarica così forte, che quelli, presi da paura, fuggirono a gambe levate tappandosi il naso.
Car. — E così tu vincesti da solo i vincitori di tutto l’Oriente!
Diog. — Anzi, è da questo che sono state inventate le bombarde, che, su nel mondo, oggi sconquassano mura e fortezze.
Car. — É vero che sei morto povero? e hai rifiutato le liberalità di Alessandro?
Diog. — Povero?! Ma nessun filosofo ha lasciato mai per testamento di più. Senti. Pochi giorni prima di morire, feci venire intorno a me un infinito numero di cani, tutti miei parenti; ai quali lasciai in eredità le case dei ricchi e le reggie dei re, a patto però che non dovessero poltrire nei piaceri dell’ozio. Dovevano invece di giorno farli correre qua e là per la caccia, e di notte non lasciarli dormire tranquilli abbaiando continuamente... Ma guarda che bella triglia! Lasciamela prendere per cena... Addio!
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Car. — Costui è vissuto schernendo e disprezzando tutti da vivo; e continua così anche da morto: pure è contento!... Oh ecco Crate! Diciamo due parole anche a lui... «Buona fortuna, Crate!»