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tengono la fune, ora la tirano su, ora la fanno dondolare, per aumentare le risa e il divertimento. Ed ecco che sul più bello, quando tutti sono attenti al giuoco... da molte parti del tetto si rovescia loro addosso una pioggia di acqua sporca, di broda e di urina con tutti gli escrementi... Che te ne pare, Caronte?

Car. — Con tua buona pace, o Mercurio, non vedo perchè si debba biasimare...

Merc. — Dici sul serio?...

Car. — Sul serio. Quelli che fan questi luridi scherzi onorano il loro S. Martino da quello che sono, cioè da porci ubbriachi. E quelli che son così conciati per impadronirsi del porco, si rivoltolano come il porco nel brago della loro superstizione.

Merc. — Confesso che queste tue buone ragioni mi persuadono.

Car. — Gli è che sono abituato a filosofare, io! Ma sai che quando poco fa hai ricordato i Campani, m’hai trafitto il cuore? Temevo proprio che tu volessi farmi l’elogio delle campane, mentre io non posso nemmeno sentirle nominare. Sai tu che il loro fragore non mi dà tregua nemmeno qui sotto terra? e si sente specialmente di là, sotto quell’albero funebre, a circa sette miglia di qui... che è l’albero degli impiccati per disperazione: il fico di Timone. Ve lo ricordate, o giudici? Ve l’ha chiesto lui, il misantropo, che gli fosse concesso quel fico e una corda in quel luogo solitario: e ha promesso che, in cambio, avrebbe pagato a Plutone un bel tributo d’impiccati, facendo il carnefice ed il boia. Difatti non è permesso impiccarsi in altro luogo, e chi vi spinge i disperati è il suono delle campane...

Merc. — Non dir male delle campane e di chi le suona. Caronte!