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il caronte | 105 |
culto che avevi verso di me quando vivevi sulla terra; però sappi che io sono Dio, ossia uno del numero dei Celesti, quando sto in cielo o sulla terra. Ma quando son qui presso gl’Inferni, il mio ufficio è di araldo o di littore, e non di Dio. Sapientissimo poi non dovresti dire nè me nè alcun altro degli Dei... perchè un Dio non può errare, nè ingannarsi, nè ignorare cosa alcuna. Sono gli uomini, offuscati nella mente da tanta caligine d’ignoranza, che hanno inventato questo nome di «sapiente» per distinguere dalla moltitudine ignorante e stolta colui che qualche cosa sapesse. Ma tu sai che il più saggio fra essi dichiarava di saper solo «che non sapeva»; sicchè vero sapiente fra gli uomini non s’è trovato nessuno.
Io vengo dunque a voi, non come Dio, ma come littore ed araldo; e come tale sono pronto ai vostri comandi.
Min. — Noi ti venerammo come Dio e ti chiamammo sapientissimo, non avendo titolo più onorevole da darti. Che se tu dici di far qui ufficio soltanto di littore, tu sai anche che su nel mondo i littori, in nome dei più grandi sovrani, esercitano giurisdizione sovrana. Perciò noi ti riconosciamo ogni diritto di comandarci. E noi avremo sommo interesse ad obbedirti ed ascoltarti...
Eaco. — Non contendere di eloquenza con Mercurio, o Minosse, con lui che ne fu il primo maestro. Meglio sarà dirgli subito perchè lo aspettavamo con tanto desiderio.
Merc. — A Dio sono noti tutti i pensieri e i desideri degli uomini; non avete quindi bisogno di esprimerli. D’altra parte Caronte me n’ha già parlato.1 Vi dirò dunque che l’Italia, donde ora
- ↑ N. — Mercurio gli aveva parlato di venti terribili, ma non di terremoti.