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di angelo poliziano 47

Di piante scosse, e su giaciglio duro
Traggon nuovo vigor le membra affrante.
Giacché all’alma il piacer torna piú accetto65
Quando a compagna s’ebbe la fatica,
E non la nausea o il tedio senza fine
Lo segue. Onde né, pallido, l’Autunno
Con l’alito nembifero; né Sirio
Di mali apportator con la sua rabbia70
Canicolare gli darà molestia,
Né i freddi intensi, né le algenti brume
L’affliggeran delle Rifee montagne:
Poi ch’egli è avvezzo a tollerar l’inverno,
Le piogge, i venti, e, a capo discoverto,75
Di giugno il sole, nella fredda notte
I suoi sonni dormire, a premer scalzo
Le dense brine, a sopportar la sete,
E con le ghiande a togliersi la fame;




Advocat, excussaeque cibos dant brachia sylvae,
Et fessa in duro renovantur membra cubili.
Major quippe venit comitata labore voluptas,
Nec satias dominam aut fastidia lenta sequuntur.45
Ergo neque imbrifero pallens autumnus hiatu,
Nec malus hunc afflat rabioso Sirius astro,
Saevave rhiphaeae labefactant frigora brumae:
Quippe hyemem excipere et ventos coelique ruinam
Suetum atque octipedem nec opaco vertice cancrum,50
Et jove sub gelido nocturnos carpere somnos,
Et pede concretas nudo calcare pruinas,
Et perferre sitim, et jejunia solvere glande,