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180 | le selve |
Per mezzo all’Ebro ne traeva il capo480
Dalla cervice sanguinante avulso,
E all’adorata Euridice recava
L’anelito supremo, e lei, lei sola
Il fuggitivo spirto e la morente
Lingua chiamava ancora; si commosse485
A maraviglia il popolo di Lesbo,
Nell’ascoltare la notante lira
Di suo talento gemere, e del Vate
Nel vederla recare il sanguinoso
Capo, del quale, accompagnar pareva490
Ahimé! quasi le fievoli querele.
Irriverente e sciocco osò Neanto
A quella lira d’appuntar sue brame,
E via d’Apollo la sottrasse al tempio;
Ma lui, che, inetto, ne toccò le corde,495
Con le vindici zanne de’ notturni
Cani vaganti disbranò la furia.
Ond’essa, in ciel rapita, come un tempo
Relliquias animae jam deficientis amatam
Movit in Eurydicen, tamen illam frigidus unam
Spiritus, illam unam moriens quoque lingua vocabat:305
Lesboum stupuit vulgus, cum flere natantes
Sponte fides atque os domini vectare cruentum
Vidit et heu lassis velut aspirare querelis.
Improbus hanc stulte chelyn affectare Neanthus
Ausus, apollinea pendentem substulit aede;310
Quem tamen, indocto ferientem pollice cordas,
Vindice discerpsit rictu nocturna canûm vis.
Illa recepta polo, ceu quondam saxa nemusque,