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174 | le selve |
Fu il lume, poi che ignuda la persona
Di Pallade mirò? Che d’Anfiarao375
Dalia moglie tradito e da nemica
Terra ingoiato? Che dirò di quello
Che per virtú d’un’erba, onde pocanzi
Resuscitava un serpe, a nova vita
Richiamò Glauco in Creta, entro gran vaso380
Di miel perito? o del tigliol di Testore,
Che addusse a Troia, già votata al fato,
Ben mille navi? o infine di colui
Che con magico dir l’empio scongiuro
Reiterando, su la propria testa385
Chiamò del cielo il fulmine, ammonendo
Di custodire il bidental, ché fòra
Dell’Assiria il suo cenere tutela.
Rammenterò di Solima i profeti,
Quid, cui post risos nudatae Pallados artus
Cernere nil licitum? quid quem impia prodidit uxor,
Hosticaque hausit humus? quique alto in melle necatum
Restituit luci, quo nuper vixerat anguis
Gramine, minoum dictaeo carcere Glaucum?240
Aut, qui mille rates peritura ad Pergama duxit,
Thestoriden? aut qui magica fera murmura lingua
Ingeminans, liquido deduxit ab aethere fulmen
In caput ipse suum, propugnarique bidental
Jussit achaemeniûm servantia busta tiaram?245
An memorem solymos, praelustria nomina, vates;