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di angelo poliziano | 173 |
E Demofila e Figo e, del ver conscia
Fennide, e Manto, Femonoe, la Pitia,
Prima ad usar l’esametro, e Deifobe,
La longeva, del Dio Glauco figliuola:
Ed i Marci fratelli, e dalle Ninfe360
Baci ispirato, e l’iperboreo Olleno;
E Lica nel suol d’Attica famoso;
E le nere colombe dodonèe.
Che dirò poi del multiforme Proteo,
Pur tra ’l pianto ed il riso incerto il volto?365
Che di te, vecchio Glauco, e che d’Idmone,
Della virtú del genitore adorno,
D’un rapido cinghial steso dal morso?
E del pio Mopso, che nel suol di Lidia,
Punto da serpe di veneno infetto,370
Lasciò la vita? Che di te, Melampo,
De la favella degli augelli interprete?
Che di Tiresia, a cui tolto degli occhi
Demoque, Phygoque, et veri gnara Phaennis,
Et Carmenta parens, et Manto, et pythia longos
Phemonoe commenta pedes, et filia Glauci
Deiphobe nimium vivax: et Marcia fratrum225
Nomina; lymphatusque Bacis; subterque triones
Natus hyperboreos Ollen; inque atthide terra
Clarus honore Lichas; dodoniadesque columbae.
Nam quid ego innumeras variantem Protea formas,
Sed dubio risus vultu lachrymasque perosum?230
Quidve loquar te, Glauce senex? plenumque parente
Idmona, fulminei prostratum dentibus apri?
Ampycidemque pium, libycis quem fudit arenis
Vipera fatifero fauces accensa veneno?
Quid te, cui volucrum linguae patuere, Melampu?235