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di angelo poliziano 105

Se, o padre, né pur lui degno tu faccia
Del guiderdone d’un’eterna gloria,
E soggiorni sul Lete ombra negletta.

Tal parla; e un rio di lacrime versando,
Sparsa le trecce, alle ginocchia resta180
Attaccata di Giove. I Numi tutti
Con le parole sue, col tristo aspetto,
Già commosso ella aveva. In cor di rabbia
Arse Apollo, ed a Venere lo sguardo
Rivolse. Intanto, dopo breve indugio,185
Risolleva la Dea l’Onnipotente,
E a consolarla con parola amica
Cosí comincia:
Oh, non pensar che svellere
De Celesti si possano i decreti
Sull’adamante imperituro incisi:190
Immobil resta nel tempo infinito
Quello che svolse delle Parche il fuso.




Si neque perpetuae saltem illum munere laudis
Dignaris, pater, et Lethen parva accolet umbra.„
Talia verba refert; genibusque affixa Tonantis
Haeret, inexhaustum lachrymans sparsisque capillis.
Jamque deos omnes dictis et imagine moesta115
Flexerat. Invidiam sensit, vultusque retorsit
Ad Venerem Phoebus. Tum divam, pauca moratus,
Sublevat omnipotens, verbisque ita mulcet amicis:
“Ne crede aeterno incisas adamante revelli
Posse deûm leges: stant omne immota per aevum120
Quae triplices nevere colus. Nec funera nati