Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/316

310 nota


Ai suoi tempi, godette non poca reputazione, che non fu giá quella vana e fittizia degli elogi iperbolici allora assai comuni, ma la reputazione presso gl’intendenti, i quali in lui salutarono un moralista e stilista che rinnovava ed emulava Seneca, e il maggiore, se non il primo per tempo, dei «senechisti» italiani. All’apparire dei primi suoi scritti, ci fu chi lo giudicò e spacciò per un semplice imitatore o addirittura volgarizzatore di Seneca; ma il Lancellotti, che aveva accolto questa opinione, letto che ebbe una prima e poi una seconda volta il Romolo, toccò con mano (dice, sconfessando la sua anteriore credenza) «che ci è del sale e proprio in quantitá grande», e lesse e rilesse quel libro «con singolare dilettazione e maraviglia»1. L’Achillini non credeva che allora in alcuna lingua fosse «scrittore che con succhi piú sostanziosi, piú eruditi, piú profondi e piú frequenti abbia mai scritto», e, paragonandolo a Lucano, lo teneva superiore a Seneca2. Il Frugoni, nel suo immaginoso «Tribunale della critica», pur protestando contro siffatta mancanza di riverenza a Seneca, descriveva i libri del Malvezzi come «alcuni volumetti dorati a guisa delle pillole, ma pillole non erano, perché confezioni di giacinto per sollevar il cuor dell’intelletto, e magistero di perle a ristorar il calore dello spirito agente»3. Questo riconoscimento di merito è in certo modo confermato dalle molte edizioni italiane delle sue opere e dalle molte traduzioni in latino, in francese, in ispagnuolo, in inglese, in tedesco4. Circa il 1640 l’Armanni gli scriveva da Otlans presso il Tamigi, villeggiatura dei sovrani d’Inghilterra, che i «parti peregrini e nobilissimi prodotti dal raro ingegno» di lui, «dopo di esser andati errando per le nazioni a farsi leggere e ammirare da tutti gli uomini», erano venuti a quelle solitudini «per farsi vedere et applaudere anche da una regina»5;

  1. L’Hoggidí, parte seconda, overo gl’ingegni non inferiori ai passati (ed. di Venezia, 1662), pp. 207-9.
  2. Lettera al Lamberti (in Marino e altri, Epistolario, ed. Bozzelli-Nicolini, II, 194: ivi, 193, è anche una lettera del 1629 al Malvezzi del quale si elogia un libro).
  3. Del cane di Diogene, Opera massima di Fr. Fulvio Frugoni, minimo. I quinti latrati, cioè il Tribunal della Critica (Venezia, 1687), pp. 374-7.
  4. Per le traduzioni, alcune notizie in Brunet5, III, 1350; Blanc, 22, 41, 1433; e per le traduzioni spagnuole l’Enciclopedia europea-americana, XXXII, 591 (fra questi traduttori fu il Quevedo). Dei Successi trovo citata una trad. inglese di R. Gentilis (The chief events of the monarchie of Spain in the year, 1639, London, 1647). Ma delle traduzioni manca un catalogo esatto e compiuto.
  5. Vincenzo Armanni, Lettere (Venezia, 1663), I, 187.