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nota 289


Le due orazioni da noi raccolte1, sono senza dubbio le piú notevoli di tutta la silloge, e certo le piú note: la prima (lib. I, prol. 2) perché costituisce un’intransigente affermazione di quello che è stato chiamato «tacitismo nero» dello Strada2, ma che potrebbe a maggior ragione chiamarsi antitacitismo moralistico, se hanno pur qualche valore anche le invettive retoriche; la seconda (lib. II, 4), perché oppone alle esegesi tacitiste un nuovo esempio di precettistica, fondata su Livio, nella quale l’esperienza politica è quasi del tutto sostituita da un astratto dottrinarismo da letterato, che tuttavia cerca di ammantarsi di sapienza e di «ragion di stato»3.

Questo atteggiamento si concreta poi in forma storiografica nell’ultima grande opera pubblicata dallo Strada (morto a Roma il 6 settembre 1649): le De bello Belgico decades duo, che uscirono a Roma per i tipi del Corbelletti in due grossi in-folio nel 1632 e nel 1647; nelle quali è narrata la storia delle guerre di Fiandra, dalla rinuncia al trono di Carlo V (1555) alla morte di don Giovanni d’Austria (1578) nella prima deca, e poi fino alla

  1. La presente edizione riproduce fedelmente (fatta, s’intende, grazia della grafia) l’edizione lugdunese del 1627; ma con qualche necessaria omissione. Si sono tralasciati cioè l’esordio e la seconda parte (esemplificativa e retorica) della prima orazione (sicché il testo riprodotto corrisponde, piú esattamente, alle pp. 28-38 dell’ediz. cit.); e della seconda si sono omessi (indicando le omissioni con trattini) gli episodi liviani che illustrano, in modo abbastanza ovvio, i precetti politici, nonché alcune frasi di circostanza della conclusione e un lungo esordio di scarso interesse (ed. cit., pp. 246-249).
  2. La definizione di «tacitismo nero» è del Toffanin, Machiavelli e il Tacitismo (Padova, Draghi, 1921), pp. 153-154: il quale per altro ascrive nella stessa opera lo Strada anche al «tacitismo critico» (pp. 185-186). Ma il Toffanin (a p. 154) mostra di fondarsi per la sua prima definizione sul passo: «Sumite, si placet, ex his aliquem non minorum gentium historicum, non qui religionem obtentui palam habeat eamque, ubi utilitas concurrat, utilitati facile postponat, sed e veteri ac prima nobilitate modestiorem, ipsumque a quo defluxisse videtur haec scribendi ratio, uno verbo Cornelium Tacitum». (Vedasi a p. 5 della presente edizione). Secondo il T., questo sarebbe, per via del sumite, un «precetto» tacitista: «in questa pagina il nuovo metodo ha trovato la sua espressione in una formula, della quale il tacitismo non è se non una farraginosa applicazione» (l. c.) Ma se si legge il passo nel contesto, qui ristampato, si vede subito che non si tratta affatto di un precetto né di una formula, ma di un invito retorico a prendere in mano Tacito, perché l’oratore possa immediatamente passare a criticarlo senza molte riserve. E tra gli antitacitisti lo Strada fu sempre annoverato: e come antitacitista confutato dal Paganini, De candore politico in Tacito diatribae XIX (Pisa, 1646) e dal Kynaston, De empitate C. Cornelio Tacito obiectata (Oxford, 1761).
  3. Cfr. Croce, Storia dell’etá barocca, pp. 132-133.