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dal «tacito abburattato» 203


diaboliche. Io cosí discorro. Vuole, non v’ha dubbio, il buon Torquato far il suo Rinaldo eroica idea, non della fortezza solamente, ma eziandio della temperanza. Quindi allor che Armida con un volto solo andò ne’ propri alloggiamenti ad assalire un intiero esercito, tutti, chi piú rapido chi meno, col ricever le ferite in petto al militare onore dieder le spalle: sol Goffredo ed egli, non come Tancredi, che non fu ferito perché giá lo era, ma come ripieni di virtú si rimaser salvi; e allor che la medesima nell’incantato bosco, armata piú che mai di sue lusinghe, di sue lagrime, di sue bellezze, gli si fece inanti, egli niente piú s’astenne per suoi prieghi dal recidere le altere quercie, che si astenga il cielo per le suppliche delle amadriadi dal fulminarle. E s’ei pur fu vinto e cadde, non fu vinta in esso l’onestade, ma la natura: né divenne molle, che nol divenisser prima i piú aspri monti, perciocché chi vinse fu un inferno, non fu una femmina. Segnal n’è, che non sí tosto i fidi amici col possente scudo disser gl’incanti, ed egli nel momento stesso squarciò i lussi, prese l’armi, fu Rinaldo, fu pudico, aborrí, partí. E alla primiera voce poi della nemica amante, questi, per sí cauto serbator dell’onestade a noi pur dianzi dal poeta effigiato, trattiene il passo? Che fai Rinaldo? or ora a te medesimo restituito, cerchi in cotal guisa a te medesimo di conservarti? qual pur mo’ spaziato augello si riman trescando e saltando pe’ vicini rami, dove forse covasi altro rischio, solo per udir l’insidioso fischio del cacciatore. Non odi, che gli stessi detti, ond’ella cerca di fermarti, debbon tutti servir di sproni?

               — O tu che porte
parte teco di me, parte ne lasci,
o prendi l’uno, —

(dunque vuol che teco tu la conduca)

               — o rendi l’altro, —

(dunque vuol che seco tu rimanga)

 — o morte
dá insieme ad ambi: —