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L'AUTOR A CHI LEGGE


A questo mio trattato io pensava di aggiunger alcune altre mie prose, perché ’l volume, che ha difetto nella qualitá, fosse in qualche considerazione per merito della quantitá; ma per molt’impedimenti non è stato possibile, e spero di farlo tra poco tempo,

edita ne brevibus pereat mihi carta libellis,

come disse Marziale. Né solo m’occorre di significar questo alla benignitá di chi legge, ma piú espressa la mia intenzione intorno alla presente fatica, ancorché nel primo capitolo della medesima opera io l’abbia detto: affermo dunque, che ’l mio fine è stato di trattar, che ’l viver cauto ben s’accompagna con la puritá dell’animo, ed è piú che cieco chi pensa che, per prender diletto della Terra, s’abbia d’abbandonar il Cielo. Non è vera prudenzia quella che non è innocente, e la pompa degli uomini alieni dalla giustizia e dalla veritá non può durare, come spiegò il re David dell’empio, ch’egli vide innalzato, simile a’ cedri di assai famoso monte; da che conchiude:

Custodi innocentiam et vide aequitatem: quoniam sunt reliquiae homini pacifico.

Cosí è amator di pace chi dissimula con l’onesto fine che dico, tollerando, tacendo, aspettando, e mentre si va rendendo conforme a quanto gli succede, gode in un certo modo anche delle cose che non ha, quando i violenti non sanno goder di quelle che hanno, perché, nell’uscir da se medesimi, non si

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