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ger soccorsi, e dal procurarsi piaceri che portavano l’altrui eccidio senza che a lui riescissero di nessun vantaggio. Temporeggiò nondimeno perchè confidava di giorno in giorno, che venisse spontanea qualche opportunità di parlargli apertamente. Ma ciò non avenne. Benchè viaggiasse fra le scene più variate e mirabili della natura Lord Rutwen era sempre lo stesso: il di lui occhio parlava meno del suo labbro, e quantunque Aubrey avesse così vicino l’oggetto della sua curiosità, pure non ne otteneva altro compenso che quello di sentirsi sempre più agitato dal desiderio di rivelare un mistero, che all’esaltata sua immaginazione cominciava ad aver l’apparenza di un soprannaturale avvenimento.
Com’essi arrivarono a Roma non andò guari che Aubrey perdette di vista il suo amico, e mentr’egli correa ad ammirare i monumenti più celebrati della vetusta città lasciò a Lord Rutwen tutto l’agio di frequentare il circolo che teneasi ogni mattina al palagio d’una Contessa Italiana. Frattanto pervennero a Aubrey alcune lettere dall’Inghilterra ch’ei dissuggellò colla più ardente impazienza. La prima che era scritta da sua sorella