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a memoria una lunga orazione che avrebbe poi recitata al Papa, non ebbe riguardo alcuno che egli fosse malato e in letto, e si profuse in molte parole, così che il Pontefice mostrò spesso di avere in noia l’udirlo. Quando finalmente quell’ignorante ebbe finito, Urbano, cortesemente, chiese agli altri che cosa volessero ancora. Un altro degli ambasciatori, che aveva conosciuta la stoltezza di quello che aveva parlato e la noia recata al Pontefice: “Beatissimo Padre, disse, abbiamo avuto mandato dai nostri cittadini, che se voi non farete tutto ciò che potrete per quello che vi chiediamo, prima di partire, questo compagno mio vi ripeta ancora il suo sermone.” Questa facezia fece sorridere il Papa, il quale ordinò che avessero tosto quel che chiedevano.


CXXV

Detto sciocco degli inviati di Firenze.


I nostri inviati fiorentini che furono mandati in Francia, quando giunsero a Milano andarono a visitare il duca Bernabò per fargli onore. E come furono dinanzi a lui, interrogati chi fossero, risposero: “Siamo cittadini e ambasciatori di Firenze, se vi piace;” come s’usa dire; ed egli li ricevette e poscia li congedò. Solo quando giunsero a Vercelli, ripensando a ciò che fino allora avevano fatto, tornarono loro in mente le parole che avevano dette a Bernabò, e poichè uno di loro disse che avergli detto se vi piace era mal detto, perchè s’anco non gli fosse piaciuto erano essi e cittadini e fiorentini e ambasciatori, così tutti vennero in questo parere e conclusero d’aver avuto torto e di non essere in quel modo stati dignitosi. E di comune accordo tornarono a Milano per ritrattar quelle parole e andarono dal Duca. Là, quello di loro che era più vecchio e pareva più dotto: “Duca, disse, noi eravamo a Vercelli quando pensammo di averti detto che eravamo cittadini ed