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LXX

D’un pastore che fece una falsa confessione.


Un guardiano di pecore, di que’ luoghi nel Napoletano ne’ quali una volta eravi il brigantaggio, andò una volta a dire i suoi peccati ad un confessore, e cadde a’ piedi del sacerdote dicendogli, in lacrime: “Perdonatemi, padre, perchè ho io gravemente peccato.” E il prete gli disse di narrare questi peccati, ed egli ripetè più volte quelle parole come se avesse commesso peccato nefando, ed esortato dal sacerdote, disse che in giorno di digiuno, avendo fatto il cacio, gli caddero in bocca alcune gocce di latte che egli non aveva sputate. Ma il sacerdote, che conosceva i costumi del paese del penitente, sorrise, e poichè questi gli aveva detto che aveva commesso gravi peccati, non credette che ciò fosse soltanto per non aver osservata la quaresima e lo richiese se altra cosa più grave vi fosse. Negò il mandriano, e il prete gli chiese, se mai egli con altri pastori, com’è frequente in quelle regioni, non avesse spogliato ed assassinato qualche viandante. “Spessissimo, rispose il penitente, ed in entrambe le cose sono come gli altri assai esperimentato; ma ciò, soggiunse, presso di noi è cosa così comune, che non turba la coscienza.” E per quanto il confessore gli rimproverasse quei peccati come delitti gravissimi, egli tenne sempre come cosa di niun conto rubare ed assassinare un uomo, cose che presso di loro son quasi nell’uso, e credette che solo del latte dovea chieder perdono. Cattivissima cosa essendo l’abito del peccato, che fa credere piccole cose anche quelle che sono gravissime.