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36 | facezie |
XXXV
Di un curato che seppellì un cagnuolo.
Eravi in Toscana un curato di campagna assai ricco, e mortogli un cagnuolo che egli aveva molto caro, lo seppellì nel cimitero. Venne ciò alle orecchie del Vescovo, che, desideroso del denaro del curato, fece questo a sè chiamare come reo di altissimo delitto; e il prete, che conosceva l’animo del Vescovo, vi andò recando seco cinquanta ducati. Il Vescovo, vistolo innanzi a sè, lo rimproverò gravemente della sepoltura data al cane e comandò che fosse tratto in prigione: “Padre mio, disse il prete furbo, se voi aveste conosciuta quanta intelligenza aveva il cagnuolo, non sareste ora così meravigliato che egli abbia avuta sepoltura con gli uomini; perchè egli tanto in vita quanto in morte ebbe assai più ingegno di un uomo.” “Che vuol dir ciò?” chiese il Vescovo. “Egli, rispose il curato, agli ultimi della vita fece testamento, e conoscendo la povertà vostra, vi lasciò cinquanta ducati che io ho qui meco.” E il Vescovo allora approvò e ’l testamento e la sepoltura, prese il denaro, ed assolse il prete.
XXXVI
Di un signorotto che ingiustamente accusò
un uomo ricco.
In un borgo del Picentino chiamato Cingoli, era un uomo molto danaroso; e quando venne ciò a conoscenza del signore del luogo, questi, a fine di togliersi il danaro, cercò pretesto di un delitto; e chiamatolo a sè, gli disse che e’ lo riteneva reo di lesa maestà; e poi che l’altro rispondeva di non aver mai fatta alcuna cosa contro lo Stato e contro la dignità del signore, questi insisteva nella accusa concludendo che doveva essere egli punito