Pagina:Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu/39


facezie 27

Allora Giannozzo la prendeva in mano, come per leggerla, vi gettava su gli occhi e diceva: “Ora la lettera va bene; va’ dunque, apponvi il sigillo e mandala al Duca.” E così era egli solito fare di tutte le lettere. —


XVII

Di un confronto col sarto del Visconti.


Avea papa Martino incaricato Antonio Lusco di scrivere certe lettere, e dopo averle lette, ordinò che fosser fatte vedere ad uno de’ nostri amici, del quale egli aveva grande stima; e questi, essendosi nella cena un po’ riscaldato pel vino, non approvò le lettere e disse che dovean esser rifatte. E Antonio a Bartolommeo de’ Bardi che si trovava presente, disse: — Io rifarò le lettere nello stesso modo con cui il sarto di Gian Galeazzo Visconti allargò a questo le brache; tornerò domani pria ch’egli abbia mangiato e bevuto, e le lettere andranno bene. — Bartolommeo gli chiese che cosa volesse con ciò significare: — Giovan Galeazzo Visconti, disse Antonio, padre del vecchio Duca di Milano, era un uomo di grande statura, pingue e corpulento; spesso costui s’imbottiva il ventre di gran cibo e di abbondante vino, e quando dopo cena iva a coricarsi faceasi chiamare il sarto e questo acerbamente rimproverava perchè gli avesse fatta troppo stretta la cintola delle brache, e gli imponeva di allargarla in modo da toglierli quella molestia; e il sarto rispondeva: “Sarà fatto come voi comandate, domani andrà perfettamente;” poi prendeva la veste, e l’attaccava senza fare altra cosa. E quando gli altri gli dicevano: “Perchè dunque non allarghi le brache che stringon troppo il ventre di monsignore?” egli rispondeva: “Perchè monsignore si leverà dal letto che avrà digerito, si sgombrerà il ventre e le brache saranno larghissime.” E alla mattina glie le portava e il duca diceva: “Ora sta bene: