nella Sala del Proconsolo dal Pollaiolo. Uomo gioviale e astuto, avido di fama, scopritore appassionato, acerrimo a’ nemici, ebbe spirito e fibra degna de’ tempi; riempí della propria vigorosa azione gran parte del sec. XV; conobbe per tanto moltissima gente d’ogni condizione, e finí col credersi in esilio nel tempo, quand’egli dall’esilio richiamava i grandi romani. Non lasciò capolavori: ma in ogni opera mise coscienza, originalità, forma disinvolta, se non elegantissima. Certo egli vinse parecchi della generazione che gli succedette, e che, datasi alla filologia, alla filosofia, alla poesia fu quasi indifferente alle indagini che infiammarono Poggio: il Filelfo, il Poliziano, il Ficino, Pico della Mirandola, il Landino. Epigrafista, dopo Cola di Rienzo, fu il primo a dare un Corpus che serví bene anche al De Rossi; numismatico, fu pur tra i primi a rendersi conto dello svolgersi della moneta presso i romani; archeologo, oltre a restituirci Vitruvio, Frontino, Plinio il Vecchio, Luciano, Pausania, Filostrato, descrisse magistralmente i monumenti di Roma con critica oculata e scrupolosa, distruggendo leggende medievali, verificando documenti, dando gli autentici nomi alle venerande rovine. Leggete De varietate fortunæ, e vi vedrete al cospetto della antica maestà di fronte allo squallore presente: quadro vivo, eloquente, doloroso. Fu altresí il primo fra gli epistolografi del tempo, le cui lettere son preziose per notizie e dottrina, originalissime per lo stile agile e pronto. Scorrendo quelle lettere par di rivedere la imagine di lui scolpita dal Donatello; sarcastico, ameno, sicuro di sé e di quel che dice bene e certo. Né i suoi dialoghi sono inferiori, pieni di libera filosofia, con ritratti vigorosamente sbozzati, con fioriture di aneddoti mordaci, con vena satirica flagel-