e del conversare...” Omnisque jocandi, confabulandique consuetudo sublata. Cosí il Poggio, forse con malinconica ricordanza viva della Curia vaticana e della vita operosa ivi menata per quasi cinquant’anni. Allora egli aveva sorpassata la settantina. Era nato l’11 febraio 1380, e mercé di Coluccio Salutati, che lo aveva conosciuto giovinetto, a Firenze, fu accolto prima, nel 1403, tra i familiari del vescovo barese Landolfo Maramaldo, e l’anno dopo eletto scrittore apostolico sotto Bonifacio IX. Andato con la Curia nel Concilio di Costanza (1414), schivo delle disquisizioni teologiche, che pur menarono al supplizio, ch’ei vide, di Gerolamo da Praga e di Giovanni Huss, “il quale gli parve morisse come Socrate,” ascoltò invece la voce degli antichi padri che da’ chiostri circostanti imploravan la liberazione dalle secolari prigioni (Epist. I, 5); e, appena poté, eccolo in sacro pellegrinaggio al monastero di Sangallo, ove, di tra muffa, polvere, immondizie, liberò davvero la Institutio Oratoria di Quintiliano, tre libri e mezzo degli Argonautica di Valerio Flacco, i comenti di Ascanio Pediano ed otto orazioni di Cicerone, del quale già nove altre orazioni aveva portate via da’ conventi di Cluny e di Langres. E sempre avidamente cercando, insieme con amici, trasse in luce De rerum natura di Lucrezio, le Puniche di Silio Italico, le Selve di Stazio, l’Astronomicon di Manilio, De re rustica di Columella; e cosí lo si vide nelle badie benedettine di Reicheunau e di Weingarten, nel convento di Einsiedeln, ove trovò l’Itinerario, edito poi dal Malbillon; in Monte Cassino, ove scopri il Trattato degli aquedotti di Frontino. E trovando, copiava e faceva copiare, in quella elegante maiuscola romana, rimasta insuperata; e comunicava esultante