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notaro: “Tu non sai, gli disse, figlio mio, che nel tempo in cui fu fatto quell’affare tu non eri ancor nato; tuo padre prese a prestito quella somma, ma la restituì dopo pochi mesi, ed io stesso ho fatto il contratto pel quale tuo padre è assolto di quel debito.” E quello diedegli il denaro per rinnovar l’istrumento e fu tolto da quella molestia. E così con bella frode il notaro ebbe denaro da entrambi.


CLXIX

Di un monaco che introdusse il cordone

in un foro di un’assicella.


Nel Picentino è una città chiamata Iesi. In essa eravi un frate, che aveva nome Lupo, il quale amava una giovinetta che era anche vergine; e questa esortata molte volte, cedette e acconsentì a far la voglia del frate. Ma temendo di dover provare troppo grave dolore, esitava alquanto, onde il frate disse che avrebbe interposta una tavoletta di legno, per il foro della quale avrebbe lanciata la freccia. Poi prese una tavoletta di abete, sottilissima, la perforò, e andò di nascosto dalla fanciulla, introdusse il cordone pel foro, e prese a baciarla soavemente, mentre sotto le vesti cercava il buon boccone. Ma il cordone suddetto, per la bellezza del viso e per il contatto di sotto, risvegliatosi, prese a gonfiarsi stranamente e fuor di misura entro il foro, rimanendovi come strangolato; e la cosa ben tosto fu a un punto tale, che non potea più nè entrare nè uscire senza grande dolore. Cambiato in dolore il piacere, il frate prese a gridare ed a gemere per il martirio troppo grave. La fanciulla atterrita voleva consolar l’uomo, e lo baciava e voleva ch’e’ compiesse la cosa desiderata, e gli accresceva il dolore; perchè aumentandosi in quel modo il volume, lo spasimo si facea maggiore. E il disgraziato si doleva e chiedeva dell’acqua fredda per