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Rumor maligno il dubbio annunzio intorno
no de la moglie a l’orecchio intanto arreca.
Pallida in volto e bieca
Procri fu vista al sospettato scorno:
pianse, stracciossi il crin, temendo, come
fosse d’una rivai, de l’aura il nome.
115Che consíglio, che cor, malcauta sposa,
fu allora il tuo, quando a l’infida selva,
quasi inquieta belva,
trasseti la fatai smania gelosa?
Tu stessa noi sapesti: il dubbio core
120scotean téma e speranza, ira ed amore.
Cefalo intanto ai freschi poggi ameni
torna, com’ha per uso, al fonte appresso;
e da stanchezza oppresso:
— Vieni, o Zefiro — ei dice; — Aura ten vieni. —
125Poi che il sospetto suo vede disciolto,
Procri non un color, non serba un volto.
Sorge e move a sfogar nel seno amato
il novello piacer che il cor le inonda:
ma, di commossa fronda
130egli che il susurrar sente in quel lato,
belva la crede, e verso il suono inteso
vibra pennuto strai da l’arco teso.
E corre, e vede del suo sangue intrisa
Procri, pallida il bel volto pudico.
135— Aimè! che in petto amico
volò il tuo dardo, o sposo. In simil guisa
tu dunque mi rivedi? oh per qual mano
tronca i verdi anni miei fato inumano!