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VII
LA DISPERAZIONE.
Lungi lungi da me l’alloro e il mirto!
serto felice a fausto crin si cinga:
lo depose ancor ei, squallido ed irto,
Tamator de l’indomita Siringa.
Egle piú mia non è. Geme il mio spirto,
preda al furor che giá scotea raminga
colei che i membri lacerò d’Absirto;
e morte solo i furor miei lusinga.
A me giá il gufo e la notturna strige
cantan funebri auguri: il pigro stagno
giá veggo e i regni dell’eterna Stige.
Vittima infausta d’un amor tradito,
io vengo, io vengo al vostro duol compagno,
sanguigna ombra di Saffo, ombra d’Ifíto.
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