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XVI - LE VESTI NUZIALI ROMANE

Ei vola de le stelle a l’arduo tempio;
ma stuol folto di figli semidei
sottentra il campo del paterno esempio.
Provvida legge de’ superni dèi
140neghi bear di tálamo fecondo

chi mena nel vil ozio i giorni rei:

al suo perir cada d’oblio nel fondo
la sua propago: de l’uom grande il germe
varchi per mille lustri al tardo mondo.
145Cresca qual ne le selve alpestri ed erme

quercia immortai, che quanto al ciel si stende
quanto nel suol le sue radici ha ferme.

Presente nume i voti miei comprende,
e nuovo onor di figli e di nepoti
150al Lambertino sangue omai discende.

Tanto medita il fato. O tu che roti
pel non tuo letto l’indomabil corno
e i gran ponti col flutto urti e percoti,
aggira, o Reno, i glauchi lumi intorno,
a 155 e prender vedi la tua prisca gloria

’^ novo ornamento da si fausto giorno,

e splender ne la posterá memoria,
il Lambertino onor, qual giá fu chiaro
nei monumenti de l’antica istoria,
160quando le cittá magne a lui fidáro

i fasci e il freno e ne la dubbia sorte
la grave cura del comun riparo.

Il prode Guido le tue squadre ha scorte,
Francia orgogliosa, sul gran vallo allora
165che tinse il fier Manfredi ombra di morte.

Egano è duce alla cittá di Flora;
e d’Aragona il regal fregio antiquo
gli stemmi tuoi, chiaro Aldraghetto, onora.
Ma che m’avvolgo per sentiero obliquo,
170cantando i fasti che col dente ingiusto

a morder non mai valse il tempo iniquo?