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loo o quei che torse per mentito calle
gí* involati giovenchi, o il vecchio mauro
che sotto il polo usa curvar le spalle,
o il torvo fiume che si volse in tauro,
o l’abbattuto su le infauste arene
105insultatore adultero centauro.
Tutte de l’opre tue le terre hai piene,
e per queste ti leva immortai vanto
tra le sedi del cielo alme e serene.
Scendine, o nume, e non ti penda intanto
no per l’ampio spazio de la schiena ignuda
fera spoglia di Neme o d’ Erimanto,
non dure zanne di lion ti chiuda
tenace fíbbia in su l’irsuto petto:
lungi da noi torva sembianza e cruda.
115Placido riso sul tranquillo aspetto
a te lampeggi, e ne richiami in mente
soavi cure di miglior diletto.
Rammenta come il giogo onnipossente
d’amor sentisti, e per le vene e l’ossa
120l’impeto acuto de la face ardente.
Chi schermo avrá da la crudel percossa?
De’ mostri il domator domo ha Cupido
sotto il flagello di sua dura possa.
Sallo colei che lo paventa infido;
125Lidia sei sa, che de l’avvolto fuso
fa risonar tra lunghi scherni il grido.
Se a te di sospirar die’ facil uso
natura e in molli fibre il core avvolse,
lieve, o nume, è la colpa, ed io l’escuso.
130Ingiusto biasmo la tua fama involse,
e mal ne rise allor l’ingrata terra,
che largo frutto di tue fiamme colse.
Torna con gli angui rei, torna sotterra,
invidia cieca, e il labbro impuro ed empio
135piú non rechi ai gran nomi ingiusta guerra.