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ii - inni e odi | 85 |
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Se Stanchezza mi prende, un vecchio rovere
m’adombra il seggio, o un acquidoso salice,
e l’arida dal cor sete a rimovere
chinomi al fonte, e della man fo calice.
Quivi soletta verso me suol movere
Fille piú bella agli occhi miei d’Arpalice;
Fille che sempre, se vo lungi, adirasi
gelosa, e cheta su’ miei passi aggirasi.
9
E, o vibri dagli occhietti accesi ed umidi
un tremolo ver’ me dolce sorridere,
o lasci trasparir dal velo i tumidi
pomi che d’Ebe il primo fior fan ridere,
o prema i miei co’ suoi be’ labbri e inumidi,
mi sento tutto me da me dividere;
né s’acqueta il desio che il cor m’inanima,
se non le spiro in seno tutta l’anima.
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Ma, s’ode il bosco che frascheggi instabile,
lieve e trepida fugge, e il viso torbida;
ed io, ricerche da lassezza amabile,
raccomando le membra all’erba morbida;
mentre un placido sonno disiabile
di sua molle rugiada i rai m’intorbida,
e mi dipinge in lusinghier fantasimi
le sfiorate delizie e i dolci spasimi.
11
Sia venticel, che con gli acuti sibili
venga del sonno la quiete a pungere;
sia Febo che, poggiando alto, insoffribili
facciami al volto sue quadrella giungere;
risvegliomi: e Ragion, che da’ sensibili
diletti i suoi miglior niega disgiungere,
a nuova traccia di piacer invitami,
e ’l gran teatro di natura additami.