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ii - inni e odi 83

III

STANZE

A MELCHIOR CESAROTTI.

     1
Or che le mura cittadine avvampano,
e a noi munge le carni ardente Sirio,
e gira il ferro, da cui pochi or campano,
quella che seco trae senno e delirio;
e invan lor forza e lor ingegno accampano
l’arti di Macaone e Podalirio;
liberi fiati di montan Favonio
trassemi a respirar il genio aonio.
2
E sotto l’arboscel che puote il fulmine,
poiché da Febo amato un di, proscrivere,
i’ vo’ la pace di quest’ermo culmine
e il tenor de’ miei giorni a te descrivere;
a te, ch’or pensi come tuoni e fulmine
l’orator magno che ci fai rivivere,
mentre che al fianco tuo destri s’assidono
di Atene i geni, e ’l bel lavor dividono.
3
Lieto m’accoglie genial tugurio,
dove la Parma vien tra monti a scendere,
su cui non suole di ferale augurio
disamabile augel gli orecchi offendere.
Qui tra ’l Genio e Sofia, tra ’l canto etrurio
giovami il tempo e le parole spendere,
vago d’udir come or le tronca or gemina
la vòlta in sasso sventurata femina.