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326 | lorenzo mascheroni |
II
LA FABBRICAZIONE DEGLI ISTROMENTI DE’ MARTIRI
Carme.
Nel terren siculo, non lunge da l’ultima punta
che mira la vicina Ausonia, e fra Scilla e Cariddi
al flutto mediterraneo fa piccolo varco,
sorge la vasta mole ignivoma, che ingombra di fummo
5al puro giorno l’aer e ’l ciel confonde di fiamme.
La credula antichitá quel monte ardente sepolcro
disse giá d’Encelado in versi; da che l’igneo dardo,
piombando da la man di Giove, stese presto traverso
sul seno della madre l’empio semiarso gigante.
10Son favole; che, zolfo quivi nudrendo la terra,
allor che i venti cozzan ne le basse caverne
e il pelago ondisono li flagella, urtandosi contro
l’un l’altro le grosse glebe d’incendio pregne,
qual spesso percossa vibra le faville la selce,
15sciogliesi l’impaziente elemento; e, il monte rodendo,
fino nel ciel di lui liquefatte le viscere manda.
Ma chi dirá donde l’immancabil ésca perenne
sottentri al furiai di foco torrente? chi donde
i massi orribili, che fuori scoccando, minacciano
20i popoli attoniti in faccia de la pioggia pesante?
Nullo ingegno puote natura né il Fabbro di quella,
pensando, agguagliar; non, col dir, svolgere quelli
che ne la perfettissim’opra, quai scherzi, li piacque
spargere mostri vari, meraviglie al guardo de’ saggi
25e non dubbi segni de l’eterna e somma Potenza.
Or quivi, quel tempo che a la bestia negra d’Averno
fu dall’alto dato far guerra e vincer i santi,
si fabbricar l’armi: tal fornace scelsero a l’opra