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25Oh, quante volte, di Polinnia il pletro
me percotendo, ricusai gli accenti,
con tarda rispondenti
e languid’eco all’imitato metro;
ed esecrò mio core 30l’opra omai disperata e il van sudore!
Ma, il pentito talor paterno sguardo rivolgendo colá, vidi la dea che a’ modi sorridea da me colpiti con felice dardo, 35e al favor de’ suoi rai
novi a segno novel dardi scoccai.
Tu non creder però, mentr’io fornito d’armoniosa merce entro ne’ tetti giá dal crostumio eretti 40del palatino Apolline sul rito,
e dove or son serbati a tua lunga milizia ozi onorati ;
non creder, no, che a disputar del canto il premio i’ venga o ad ostentarti i tersi 45elaborati versi,
onde lor tu del cedro accordi il vanto,
tu de l’opre d’ingegno
giudice di seder, qual Tarpa, degno.
Sai che al gran lume del teatro umano 50ed al rumor dell’eliconia lode,
ch’altri mercar pur gode, me ognor sottrassi, ed eccitato invano in pace oscura giacqui, pago se a pochi e a me, cantando, piacqui. </poem>