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Le vive, fulgidissime facelle,
che il nostro giorno o la notte conduce,
sarian tenebre ed ombre in faccia a quelle
che sgorgano colá, masse di luce;
35lo cui raggiar non cangia e non tramonta;
ma temperato, immenso e ugual riluce,
e alla beata vista che l’affronta
non reca danno, anzi fiacchezza toglie;
piú vi s’affisa, e piú a gioirne è pronta.
40Assisa in trono Eternitade accoglie
di questo ciel la piú sublime parte;
qual sia, per dirlo, invan mia lingua scioglie.
Veggio il Tempo colá starsi in disparte
sovra un pie fermo, e par converso in sasso,
45spennate l’ali e a sé d’intorno sparte;
ed ella in man sostiene il gran compasso,
che ai mondi tutti e ai soli die* misura,
quando librate furo all’alto e al basso.
Havvi l’orrendo Caos, havvi Natura,
50che in faccia a lei sino al confin de’ cieh
delle distinte cose alterna ha cura.
De’ secoli non v’ha pur chi si celi;
quai giovani ivi sono, e quai canuti
e quali avvolti in trasparenti veli.
55Tra gli ultimi non anco al di venuti,
il primo a discoprirsi e capo e fronte
dall’impaccio che il tien par che s’aiuti;
qual fasciato di nebbia erboso monte,
che ha sul mattin la verde cima fuore,
60quando saetta il sol dall’orizzonte.
Deh! se anch’esso è vestito di malore,
anzi che a sprigionar giunga le ciglia,
torni del nulla al primo tenebrore;
che il mal seme dell’umana famiglia
65di lacrime e di sangue il suolo inonda,
’ve Opinion col Dritto s’accapiglia: