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VI

L’ETERNITÀ.

In mezzo a un’armonia che non s’accheta,
con carro arroventato l’aer sega
il giovin sempre orientai pianeta;

e dal segnato ciel non poggia o piega,
5ma guida intorno i suoi destrier focosi,

e i pianeti seguaci attragge e lega;

e se la bruna madre dei riposi
ci fura un tempo la sua viva lampa,
perciò non spegne i raggi luminosi;10 che in altra parte della terra avvampa

la bella faccia che non mai si ecclissa,
e l’orme istesse al nuovo giorno stampa.

Con quella spera in sua movenza fissa
ciascun passo protegge il veglio edace,
15mentre i secoli crea ed inabissa.

Or chi diria, l’aurilucente face
che d’una eterna tempera non fosse,
s’ella guida colui che tutto sface?

Eppur dall’urto che primier lo scosse
20quest’orbe ancor lograsi lento lento,

ch’eterno esser non può chi sé non mosse.

Or qual m’animerá forte argomento
luogo a trovar ’ve coll’unghion grifagno
caducitá non metta lo spavento?
25dove non faccia il tempo aspro guadagno

per lo cui aleggiar mi disconforto;
che fa parer tutt’opra, opra di ragno?

Ah si che giá lo mio pensier fu scorto
a immaginare un ciel che non ha stelle,
30un ciel che unqua conobbe occaso ed orto.