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Cosi cred’io, quando la mia fedele
si sciolse dal suo fral con un sospiro,
105e in piú felice mar spiegò le vele,
che lo suo spirto equilibrato in giro,
con atto da poter far molli i marmi,
circondasse me squallido e in deliro;
e cento fiate il voi, pria di lasciarmi,
no retrocedesse a questa parte bassa,
per lambirmi le gote e accarezzarmi.
r non sentii, che, di carnosa massa
vestito, il senso apprendere non puote
l’urto leggier d’un’anima che passa;
115ma il zeffiro che aleggia in lievi ruote,
e quel disio che a lagrimar m’invoglia,
prova mi fan delle carezze ignote.
Giá della forte etá lascio la soglia,
giá sul viril sentier l’orme che imprimo,
120orme non son della pili verde spoglia.
E, come il villanel da sommo all’imo
d’erbosa balza trae per gioco il fianco,
e sfida l’altro a chi discende il primo;
cosi, strisciando il tempo agile e franco,
125parmi che inviti a sdrucciolar vecchiezza
ver’ me, che ho misto il crin di nero e bianco.
Misero! e qual conforto alla tristezza
ritroverò piú passeggiero e lieve
in quell’etá che ciascun fugge e sprezza?
130Se il volto macilente e il crin di neve
di chi vacilla al vacillar degli anni,
fuor che a fida consorte, a ogni altro è greve?
Memoria, tu, che all’uomo addoppi i danni,
quando sei cote a mesta fantasia,
135se nel felice stato oblii gli affanni,
nell’infelice ancor le gioie oblia.