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e digiun ei ne sta. — Vedilo, è desso —
— dice un, leggendo, — qui descritto Ormondo,
fattosi ricco delle spoglie altrui
con turpi usure e scaltro gioco. — Ah ! senti
140— replica un altro — in questi versi espresso
il tolto appena dall’aratro Ergasto,
ch’or va di compri titoli e d’insegne
si pettoruto: io giurerei che l’ebbe
l’autore in vista. — Oh, bravo Alcone! — esclama
145Cassandra — oh come al naturai pingesti
doride in quella novilustre ninfa
che nello specchio mirasi e non vede
le rance rughe, e di coprirle ha speme. —
E via cosi. Quest’è l’emenda e il frutto:
150son le satire tue pascolo e seme
delle satire altrui. — Sia ciò di molti
— tu ripigli, — sia pur; ma tutti poi
malvagi o illustri i miei lettor non sono.
Se la malizia non profitta o abusa
155della critica mia, questa riparo
può farsi e scudo all’innocenza almeno;
e, se il vizio a correggere non basta,
a preservarne gioverá. — T’inganni,
anzi non credi pur. Taccio che quelle,
160onde lascivia con si vive tinte
a colorire e a detestar t’appresti,
pitture son che svegliano desio,
non ispirano orror; svelati arcani,
con grave rischio, l’innocenza impara,
165che secura ignorò. Taccio, e sol dico
che in vista esporre esagerato quadro
di tante scelleraggini e delitti
nuoce e non giova; e che periglio è sempre
agli uomini scoprir quanto sia grande
170il numero de* rei; scandalo appresti
e non rimedio; irresistibil forza