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va di nequizie, i contrassegni usati,
65questi non son né le natie sembianze
della virtú pacifica e pietosa,
che vede e scusa, o china gli occhi e tace.
Credimi, o pseudo Elia, sfogo è di bile,
non trasporto di zel, questo maligno
70di mordere furor. Ma via, sincero ,
confessa il ver: da quelle colpe istesse,
dimmi, scevro sei tu, che in altri accusi?
Molti epuloni a ventre pieno udii
lodar la sobrietá, molti la volpe
75spesso imitar, che nauseando sprezza
l’uva che aver non può. Damòn, che al corso
beve pedestre il polveroso nembo
degli aurei cocchi e de* destrier non suoi,
con un’invidia che diresti zelo,
80satireggiar di prezzolata Taide
s’ode e di gonfio finanzier che passa
il magnifico treno; e Osmino, a cui
scarsa sul focolar pentola bolle,
dei pranzi lucullèi biasima il lusso
85e, commensal, farebbe elogi al cuoco.
Ah! il condannare altrui, sentenze e dogmi
spacciar severi di moral sublime,
è facile e di molti; il porla in uso
duro e di pochi assai. Ma fossi ancora
90un Socrate, un Senocrate, un Catone,
quei tre tu solo e d’ogni macchia esente,
che pretendi perciò? Credi tu forse
di riformar co’ tuoi latrati il mondo?
Cieca follia! dammi un esempio, un solo
95d’uom dissoluto e reo, che co’ suoi morsi
la satira emendò. Qual dunque hai modo
di farlo tu? Giá non vorrai, lo spero,
con le tue frecce avvelenate alcuno
prender di mira e palesarne il nome;