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206 | clemente bondi |
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Ma tregua ai giochi omai. Concorde istinto
altrove invita il nobile drappello;
e il vicin lago, onde l’albergo è cinto,
offre ai lieti garzon piacer novello:
su l’onda algosa, a una catena avvinto,
mobil galleggia un piccolo battello;
al margin giace, e con sicuro passo
per marmorei gradin si scende al basso.
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Non si affollata al pallido Acheronte,
dal desio tratta dell’opposta riva,
entro la nera barca di Caronte
correr la turba suol di vita priva,
come con voglie impazienti e pronte,
l’un l’altro urtando, al margine si stiva
lo stuol de’ giovanetti disioso
di gir vagando per lo stagno ondoso.
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Giá pieno è il legno; e’ può capirli a stento,
e sotto il peso cigolando geme.
Lo schifo Aminta timoroso e lento
col remo avanza, e contro al fondo preme;
gli altri con esca lo squamoso armento
chiamano a galla, e d’afferrarlo han speme.
Ma che vegg’io? Qual mano ascosa il legno
piega con urto, e tenta rio disegno?
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Ah! fuggi presto, e le sospette sponde
lascia, che tu sei cerco, o Silvio mio.
Forse, chi sa? l’algoso flutto asconde
qualche rapace anch’egli o mostro o dio.
D’Ercol delizia. Ila garzon nell’onde
trasser le ascose deitá d’un rio.
— Ila! — gridava Ercol dolente, e ai gridi:
— Ila! — pietosi rispondeano i lidi.