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i - giornata villereccia | 203 |
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Tu pur l’udisti, Apollo, e al garzon degno
ceder dovesti, e il contrastar fu vano.
Marsia uscí, credo, dall’elisio regno,
la scorticata pelle avendo in mano,
di tua vittoria antica ahi! troppo indegno
trionfo e crudo monumento insano;
e, te veggendo mutolo da un canto,
l’ombra sanguigna consolossi alquanto.
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Or mentre questi con dolcezza rara
del gentil Silvio l’armonia diletta,
la turba degli dèi silvestri a gara
nella cucina si affaccenda in fretta;
e, com’è l’uso, agli ospiti prepara
l’egiziana pozione eletta
che, sdraiati sui morbidi sofá,
bevon pipando i barbari bassá.
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Chi di lor nel fornello, atto a tal uso,
fa foco e soffia nel carbone ardente;
e chi nel cavo rame il caffé chiuso
volge intorno abbrostendo, in fin che sente
misto col fumo il grato odor diffuso,
e de’ granelli il crepitar frequente:
dal foco allora il toglie, e il gitta fuore
vestito a bruno di novel colore.
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Altri in ordigno addentellato il trita,
e polvere ne trae minuta e molle;
altri l’occhio e la man pronta e spedita
sul vaso tien, che gorgogliando bolle:
fin sopra l’orlo in un momento uscita
l’occhiuta spuma pel calor s’estolle;
ma poi lascia il liquor purgato e mondo
l’impura feccia che ricade al fondo.