Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/209


i - giornata villereccia 199


12
In un momento scompariscon ratti
i cibi, appena su la mensa apparsi.
Tra il riso e ’l suon dei detti allegri e matti
odi i cucchiai con le scodelle urtarsi:
qua e lá son vuoti e rovesciati piatti;
ed ossi di cappon spolpati e sparsi.
Tratti all’odor dei condimenti strani,
corron saltando intorno e gatti e cani.
13
Scherzan lá dentro e van gridando forte
la Gioia e il Riso che le vien del paro;
e l’Abbondanza fuori delle porte
caccia col corno il rio Digiuno avaro.
Non cappe nere o servi d’altra sorte
veggionsi qui; che a quello stuol preclaro
corser dal vicin bosco agile e destri
in tavola a servir gli dèi silvestri.
14
Cerere bionda di pan bianco e fresco
porta ricolmo un candido paniere;
empie la dea Pomona il largo desco
di buon fichi, mellon, persiche e pere;
con un gran fiasco in man, da buon tedesco
Bacco salta da matto e fa il coppiere:
ma, celando la faccia sua caprina,
piatti e tondi il dio Pan lava in cucina.
15
L’opera ferve; e giá del pranzo ornai
l’ultima parte a terminarsi è presta.
Di lesso e arrosto n’han mangiato assai,
e sol l’estremo e miglior cibo resta:
ognun l’aspetta, e volge avido i rai,
e con la man fa cenno e con la testa:
ma giá l’accusa il vivo odor fragrante,
giá l’aspettato vien piatto fumante.