Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/163


i - poemetti 153

Nebbia sono le vele, e nebbia i remi,
che in triplice distinti ordin sull’acque
cadeano obliquamente, e di lunghezza
dal supremo scemando all’imo seggio,
320qual dispari zampogna, e serve braccia
inegual peso ed inegual fatica
eran pe’ gradi del naviglio alato.
Entro di Plinio vi rosseggia il mesto
simulacro. In vapori assottigliato
325sta l’esangue almirante in sulla poppa,
qual giá nell’acque del Miseno. I rari
crini e la barba eran combusti ed atre,
pel fumo e per la cenere, le brevi
belliche vesti, e grave odor di zolfo
330spiranti ancor. Dall’arrocate fauci
rompea la voce, qual s’ode fra’ sassi
incerto gorgogliar lento ruscello.
Svégliati — ei dice, — o successor d’Augusto,
e mira qual della mia patria feo
335l’orgoglio dell’insubre empio governo.
Mira le torri, ond’ella cinta il capo
godea stampar d’ombra superba il piano,
e la guerriera immagine nell’acque
addoppiarne del lago, a terra sparse
340indegnamente, e gli antichi archi e i marmi,
e da’ sonori cardini le porte
svèlte ingombrar d’alta rovina il calle.
E tanto osò quel popol crudo? E tanto
fidasi ancora in suo poter, che nieghi
345a te, signore, a te piegar la fronte,
che d’usurpata libertade or cinge
col pileo audace? E tu lo soffri? Un vano
titolo adunque è dell’Italia il regno?
Pietá ti mova degli oppressi, e delle
350onte vendicatrice ira t’accenda.
Esca al suon di tua voce, esca il pugnace