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i - poemetti 149

oblivion dal corno vaporoso,
tacitamente alle spalmate navi
trassero i padri, le consorti, e seco,
175miserabile vulgo, i cari figli,
e commesse all’infida aura ed all’acque
fûr le reliquie del cadente impero.
Indi ad arte un tumulto, e di percosse
armi eccitando un orrido frastuono,
180con disperata man la ferrea porta
apresi, e versa riboccante un’onda
di popolo guerrier. Mal desto all’arme
corre dal campo il gran nemico, e tutte
salpano intanto dal ricurvo lido
185le inosservate navi. Atra la notte
intorno colla cava ombra a lor vola.
     Ahi lasso! contro il fermo ordin de’ fati
nulla tentar, nulla sperar ne giova.
Esce tutto fra l’arme il vulgo avvolto,
190e, stagnando le lagrime e premendo
in cor l’affanno e i queruli sospiri,
della patria vetusta i dolci lari
abbandona fuggendo. Orrore e lutto
e disperazion lo incalza e preme;
195che grave è men d’inevitabil morte
che d’abborrita servitú l’aspetto.
Surse intanto l’aurora. Alto regnava
silenzio fra le mura, e dall’oblique
finestre delle torri e dalla cima
200de’ birpartiti merli alcun non era
dardo in giú spinto, né vedeasi un cenno
d’agitabili creste, o di vessillo,
nel liquido sereno, onda guerriera.
Pur teme Insubria ancor l’arte de’ vinti,
205e il noto ingegno e i fortunati inganni;
né per le porte spalancate a schiere
entrano i fanti, ma poggiando vanno