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i - poemetti 147

100mirabil mostro, colla madre or venne,
e di Biandrate abbandonò la ròcca.
Ve’ come nelle pinte armi fiammeggia
il garzon crudo, e colla man giá salda
va palleggiando una grand’asta al vento.
105Tal dall’equorea Sciro, amabil sede
di vergini, al ventoso Ilio fu tratto,
novello in arme, del temuto Achille
il fero germe, cui non anco il primo
pel sulle gote morbide fioria,
110e giá del padre emulator godea
agitar nella polve i gran destrieri
col fido Automedonte; e Priamo intanto
e Andromaca, in mirarlo, un freddo gelo
sentian per l’ossa, ed un segreto orrore.
115E ben, Troia novella, egual rovina
dopo dieci anni a te sta sopra, e dopo
che il tuo Lamberto nella tomba è sceso,
in valor pari all’omicida Ettorre,
possente a’ greci consiglier di fuga;
120Lamberto che di tutto il suol lombardo
unite a’ danni tuoi l’armi represse;
né mai di sangue e di ricchezze avaro
fu per la patria libertade, e cinto
d’indomita costanza il petto audace,
125viva folgore in guerra, al solo fato
cesse, e fra l’ombre degli eroi mischiossi.
     O antica patria! o di valor guerriero
e di fortezza in duri casi esemplo!
Deh! perché mai l’aspre tue pugne, e i molti
130sul pian, sul monte, sull’ondoso lago
trofei da te con man vittrice alzati,
e il sangue e il pianto, e di sí lungo marte
il lamentabil fine un altro Omero
non rivestí d’eterni modi, e solo
135in gotico stridor la ferrea tromba