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i - poemetti 145

la voce uscir de’ secoli giá spenti,
e susurrarmi nell’orecchio: — Oh quanto
30n’è grato il suon d’un cittadino all’alma! —
     Ecco sul monte l’angolosa torre,
ch’oltre mill’anni al tempo resse (e fede
per maraviglia e lei serbò l’Ispano)
sorgere all’aure e minacciar dal giogo
35lo svizzero pedon, che incerto move
per l’aspro calle i faticosi passi.
Fama è che nella notte alta di fioche
voci tratte in mestissimo ululato
s’oda ivi un suon che di terror percote
40l’ignaro pellegrin. Voci son quelle
di guerrier che la torre ardua in sé chiuse,
misero avanzo al civil brando e giuoco
dell’incostante popolar fortuna;
e voi fra quelli con orror vid’io,
45prode Caverna, intrepido Lombardo,
d’arme ancor cinti, ancor di sangue lordi,
giganteggiar sulla deserta rupe,
e di torbida luna al mesto raggio
squallida ed irta per grand’unghie e pelo
50del fíer Napoleon la infelice ombra
fremere udii piú volte in tronchi accenti
or di pietade, or di magnanim’ira;
e l’antiche scotendo aspre catene,
il comun sangue ricordarmi, e i danni
55del perduto per fraude avito impero.
     Itene in pace, illustri anime; e grave,
dopo sí duri casi, almen non sia
al cener sacro la regnata terra.
     Quinci lo sguardo alle rovine io volgo
60delle munite porte e dell’immane
muro che uní la doppia ròcca e i monti,
e fra lor chiuse la cittá cancrina,
quando contro lei sola Insubria tutta