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i - poemetti 141

e la soave liquida fragranza
ai vezzeggiati calici depreda.
     Tempo è che i sensi ora ammaestri il tatto,
che del ver lentamente s’assicura,
390e giá di nuovo la fiutante fibra
delle lievi si pasce aure odorate,
né da se stessa l’anima divide
le soavi delizie delle nari,
finché non resta fra l’eburnee dita
395un fior che ver’le guance a caso alzato
fa che l’alma un novello organo scopra
dell’olezzante venticel ministro.
Le nari allora dalla mano istrutte
distinguon la viola, il timo ibléo,
400la menta e il fior del maurusiaco cedro,
e la pestana rosa, e la ginestra
onor delle romite alpi e del bosco.
Prometeo intanto alla gentil Pandora
dell’echeggiante timpano le vie
405schiude; ed ella si crede ora il lamento
di solitaria tortorella, ed ora
il suono onde la selva alto frascheggia,
o il torrente precipita, o del cielo
a lei disopra la gran porta tona;
410né mai di tanto inganno ella s’avvede,
se de’ corpi sonori alcun non tocca.
— Prendi, ninfa gentil, questa ch’io t’offro
delfica lira, cui temprò Sofia,
del ver maestra, l’animose corde,
415e l’alme Grazie inghirlandâr di fiori;
prendila, e giovi ad isvelarti il cavo
tortuoso sentier che mette all’alma
le melodiche voci e il vario suono. —
Cosí dicendo, alle man cieche affido
420l’armoniosa concava testudo,
ed ella ignara l’agita, e ne morde