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i - poemetti 139

dell’indotte pupille aprir le vie
315e chiudere a talento, e per tal guisa
or disgiungendo, or accoppiando i sensi,
il principio esplorar d’ogni pensiero
nell’alma, che profumo in pria se stessa
e suono crede e sapor vario e tinta;
320né sé distingue dagli esterni obbietti,
finché non anco i membri agita e scalda,
liberamente col purpureo sangue
circolando la vita. Alfin giá tutto
sull’epiderme elastico diffuso
325spiegasi il tatto, e l’acerbette poma
della candida ninfa alza il respiro.
Scossa dal duolo e dal piacer l’inerte
fibra s’accorcia, ed una man solleva,
che, ricadendo sull’eburnee membra,
330si striscia irrequieta, e di se stessa
interroga ogni parte, e le risponde
la propria ognor soliditá: — Son io. —
Non cosí fanno l’altre forme, a cui
le pieghevoli dita errano intorno,
335ond’è pur forza che da sé disgiunte
le riconosca l’alma, e del suo corpo
entro i confin l’immensitá racchiuda,
che gli altri sensi limitar non sanno.
Ma cieca e sorda, senza fiuto e gusto
340l’alabastrina vergine, giá carne,
brancola incerta, e il luogo muta e i passi,
e dello spazio ad acquistar l’idea
giunge a fatica, e curiosa intende
a novelle scoperte il vigil tatto.
345Ad ogni passo, che nel molle grembo
snoda della freschissima verdura,
spunta un piacer. Le lisce pietre, i fiori
svèlti dal prato e le tornite frutta
si foggian entro la man cava, e sotto