di bifido compasso orbite e globi,
ecco tocca del monte arduo le cime,
su geometre penne remigando,
filosofo borusso, armato il braccio 95d’aspra per molti nocchi erculea clava,
e fermo su due piè contempla i giri
di tante sfere, e non fa motto. A lui
sta fra le rughe della fronte sculto
ponderamento astronomo, e novello 100del peripato sprezzator pensiero.
Non serba il volto un color solo, e torvo
sembra guatar del mobil primo il corso,
che dall’orto all’occaso, immensa via,
seco in un giorno i ripugnanti cieli 105turbinando rapisce e volve in giro:
or gli epicicli de’ pianeti e il vasto
eccentrico rotar laberintèo
fremendo osserva, or dal littoreo Cancro
al Capro, dell’Esperia onda tiranno, 110il sol vagante e la mutabil luna.
Indi, la vista gravemente tarda
a Saturno volgendo, a Giove, a Marte,
si meraviglia di vederne i corpi
nell’opposta del ciel parte sublime 115piú grandeggiare a noi movendo intorno.
Sdegnosamente alfin dietro le spalle
gittando alto la clava ponderosa,
sfende il cristal girevole, e de’ cieli
sfascia i solidi cerchi. Ululi e fioche 120voci confuse al vasto rovinio
mettono l’ombre, a passeggiar le Stoe
e ’l frondoso Academo un tempo avvezze;
e gli ombratici sofi, e ’l servo gregge,
che del tiranno stagirita al nome 125trema, e ne’ detti del maestro giura.
Ma sotto, intanto, a’ replicati colpi