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iv - sonetti 109

XXI

VIGILANZA

per la stessa occasione.

E chiuso è l’orto e suggellato è il fonte,
e beve l’innocente aura l’olezzo
del casto fior che v’arboreggia in mezzo;
e tu ricinta n’hai, vergin, la fronte.
Ma ciò soverchio non t’affidi, e pronte
serba le voglie ove dimori al rezzo;
che desir basso non vi sparga il lezzo,
e i frali sensi e ’l molle cor t’impronte.
Era siepe innocenza a l’orto antico,
né coll’angue poteo, né valse a lei
che morse il pomo e si coprí del fico:
e in fidato giardin, sciolta i capei,
credendo a l’acque il bel corpo pudico,
trovò Susanna i vecchion sozzi e rei.

XXII

SOLE E INFERNO

(Apoc., xvi, 8).

Tu che scolori al tuo apparir le stelle
e il ciel trascorri solitario, o vago
padre del giorno e de le cose belle,
lucida a noi del tuo Fattore imago;
tu, qualor penso all’anime rubelle,
cui foco aspetta e l’eternal vorago,
d’orror m’ingombri; atroce ivi di quelle
fará strazio il superbo angiolo, or drago.
O ministro maggior della natura
che ciò n’arrechi onde la vita è lieta
con sí dolce del ciel legge e misura;
forse, poiché fia spento ogni pianeta
e morto sparirá tempo e figura,
di duol forse verrai tu stanza e mèta?