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94 angelo mazza


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Ma dove i’ lascio quel che al gran meonio
emulo, e forse vincitor, fe’ nascere
il fosco aer ventoso caledonio,
feroci anime alpestri usato a pascere?
Quello per cui t’applaude il genio ausonio,
però che il festi, amico, a noi rinascere,
cingendo un lauro onde pensosi ir debbono
Caro e Selvaggio, che l’ugual non ebbono?
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Piaccion tuoi carmi, se ’l susurro e ’l tremito
di leve aura e di rio corrente spirano;
se fragor cupo di tempesta e fremito
aspro di venti che col mar s’adirano;
se duro affronto di guerrieri, e gemito
d’aeree forme che sul nembo girano;
o destrier di sonante unghia che scalpiti,
o bell’occhio che pianga, o sen che palpiti.
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In essi io spazio con la mente, e pascolo,
rara virtude, idee leggiadre e tenere,
o parli Cucullin, cuor grande e mascolo,
o Fingallo da sé non mai degenere;
o innamorati avidi sguardi il pascolo
sfiorin gentile di pudica Venere:
natura in lor se stessa ama detergere,
e di vergogna i culti tempi aspergere.
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Qual s’adunan gli augelli al fiume, al nemore,
per lasciar l’anno che qui manca, e riedere
ove il ciel mite e d’ogni bruma immemore
suole di buon tepor giorni concedere:
tal io, qualor volgo tue carte, al memore
pensier sento l’idee raccôrsi, e chiedere
giorno di vita imperturbato e vivido,
ove non possa oblio né tempo livido.