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92 | angelo mazza |
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Or seguo il gran britanno, a cui non aere,
non terra valse, o stella, o sol por termine;
oltre il tempo e lo spazio ei salse; e traere
osò ne’ carmi Chi a se stesso è termine.
Poi seppe i primi amor casti ritraere,
che andar con ogni ben sí ratto al termine,
quando vergogna dell’antica moglie
spinse la destra a ricercar le foglie.
37
Ma l’affocata oscuritá visibile,
a Lucifero pena e domicilio,
e ’l lume ad uman guardo inaccessibile,
ove dal sen del Padre effulge il Filio,
e della spada il fronteggiar terribile,
che cenna a’ rei progenitor l’esilio,
fanno argomento di valor fantastico,
che par noi die’ qual fu cervel piú elastico.
38
I due pur veggio che sí bella ingiuria
agli anni han fatto, inni sciogliendo all’etera,
Frugon, Chiabrera, onor ambo a Liguria,
che da Pindaro in dono ebber la cetera.
Di tai poeti Ausonia oggi ha penuria,
che il favore tra noi d’Apollo invetera:
all’arti belle s’accompagna inopia,
sovrabbonda alle vili applauso e copia.
39
O pria sí cara al ciel contrada italica,
perché ad estranei vanti i nostri or cedono?
Forse della ferrigna etá vandalica
l’aspre vicende a contristarti riedono?
Guarda, che le nevose Alpi giá valica
Febo e le dèe, ch’ivi han Parnaso, e siedono
spirando estro, armonia, dolcezza a frigido
tedesco petto, e a sermon scabro e rigido.