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SIMONIDE D’AMORGO 137

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CUOCO MAESTRO


Come il porcello ho rosolasminuzzata ho la carne, con la pratica d’un officiante. Eh, me la cavo bene!

Ateneo (XIV, 659 d) cita questo brano, insieme con un altro di Menandro, per confermare la seguente asserzione: «Non c’è da meravigliare se i cuochi piú antichi erano pratici dell’arte dei sacrifizî; perchè appunto presiedevano a sacrifizî e a nozze». Parrebbe dunque che nella poesia di Simonide queste parole fossero attribuite ad un cuoco. Già, dunque, in questi antichissimi poeti giambici, troveremmo il tipo che dove’ poi divenire ospite abituale delle scene comiche; e in uno degli atteggiamenti di autoincensamento che poi divennero canonici. Cosí anche tornano frequentissime nella commedia scene di sacrifizii e sproloquî di cuochi officianti. Quello de L’adulatore di Menandro, qui citato da Ateneo, pontificando in un banchetto, nella festa di Venere pandemia, diceva: «Si liba: tu tieni i budelli e seguimi: dove guardi? Si liba! Ehi là, ragazzo! | Sosia! Si liba! Bene, versa. Prece volgiam d’Olimpo ai Numi tutti e a tutte le Dee frattanto tu piglia la lingua | che ci dian la salvezza e la salute, sostanze a macca, e usufruir dei beni | che già fin d’ora possediamo, a tutti».

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CACIO FAMIGERATO

Molto pria travagliar devi, o Telèmbroto.
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Quivi il cacio Tromilio è, dell’Acaia, meraviglioso.

Erano riportati da Demetrio Scèpside, citato, a sua volta, da Ateneo (XIV, 658 b). Demetrio assicura anche per suo conto che