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i due vicini | 169 |
Ora egli fece un breve bozzo in terra,
ben levigato, e i quattro lati cinse
d’un muricciuolo, ove impastar l’argilla.
Eresse accanto la fornace, quadra,
45con la sua bocca, ove introdurre i pruni
secchi e la stipa, ed appiccarvi il fuoco.
Alla dimora della chiara fiamma
contiguo fece il penetrale angusto
pei vasi, asciutti ma non sodi ancora;
50che prima in alto, umidi sempre e molli,
vogliono a lungo, vogliono da lungi
udire il nuovo scricchiolìo del fuoco.
E poi la ruota collocò, robusta,
che mossa muove il lucido tagliere,
55e fece l’asse a cui s’appoggia il tergo,
e la pedana a cui l’un piede ponta,
ma l’altro preme e fa girar la ruota
e la sua testa. Così ebbe il bozzo
e la fornace e il banco.
60Ma prima prima avean pensato all’acqua.
Ce n’era un filo, sùbito bevuto
lassù dal vello soffice del mustio.
Ma poi, tra lisci ciottoli, giulivo
d’esserci ancora, gorgogliava a gara
65coi merli d’acqua e con le capinere.
Quindi alla rana che chiamava l’acqua,
che dicea, Qua!, scendea l’incauto, e sotto
le larghe foglie s’addormia del loto.