Pagina:Poesie siciliane.pdf/12

per l’espressioni dev’esser commendato.

In generale Meli dalla natura sorti la facoltà di sentir le cose tenui semplici gentili, e di esprimerle con immagini semplici e leggiadre. E’ la patria lingua ripulì, e tutta la ricchezza e la espressiva significanzane mostrò ne’ popolareschi motti e nelle altre veneri sue proprie, ad ogni genere di slile maestrevolmente accomodandola, che sempre nelle sue mani il pregio ottenne della semplicità della naturalezza della spontaneità. E’ dicea doversi più che i libri studiare la bella natura, ed il bello ideale pertanto al bello di natura accoppiò.

Lo studio delle scienze della botanica della chimica dela medicina non valse a spegnere in lui la possanza del fuoco poetico, chè e’ procedea sicuro sulle orme battute da un Haller da un Elvezio da un Campailla da un Francastoro da un Redi. Come scienziato fa altresì di giovamento alla patria, perciocchè oppugnò il brawmano sistema, a grado di scienza la chimica sollevò da professore della università di Palermo, le più recenti dottrine e le migliori sperienze facendo conoscere, abbattendo colla scorta del Lavoisier la dottrina del Flogisto, e sul meccanismo della natura, e sopra altri utili soggetti lavorando.

Conobbe che il poeta può e dev’esser vantaggioso alla patria, e cercò co’ poetici fiori istillarle i più sani ammaestramenti, e colle satire cercò far conoscere i vizï del tempo per riformarsi. Amante era della tranquillità e della pace e sempre nelle sue scritture esaltolla.

Ebbe ammiratori la patria l’Italia la Francia l’Inghilterra la Germania, e per tutte parti le sue opere addomandavansi, e in istraniere lingue traducevansi. Per dir più particolarmente ebbe a lodatori un Alfieri un Cesarotti un Rezzonico un Denina un Metastasio un Pananti un Casti che a bella posta in Palermo si condusse a chiedere il di lui parere pria di pubblicare i suoi Animali Parlanti e le novelle. Ebbe in vita una medaglia fattagli coniare in Germania dal principe Leopoldo Borbone, sì che vivendo nella universalità delle lodi vedea cominciare la sua posterità.

Fu basso della persona, piuttosto pingue che no, ebbe occhi vivaci, la fronte larga rugosa, grosso il naso le labbra il mento e tutte le forme, di color bruno la faccia. Ebbe un’anima dolce affabile, che non da livore da sdegno o da viltadi fu mossa. Faceto fu nel conversare e fabbro di pronte arguzie. Sentì le più dolci impressioni la commiserazione l’amicizia l’amore la riconoscenza.

Già pervenuto al settagesimoquinto anno dell’età il Palermo cessò di vivere addì venti dicempre del milleottocentoquindici con sommo dolore de’ suoi cittadini, e più degli amici, che lo accompagnarono al sepolcro e un marmo gl’innalzarono nella chiesa a s. Francesco, ove stà la di lui effigie scolpita, ed una latina iscrizione di Michelangelo Monti, che rimembra l’uomo di soavi costumi ed integro di vita, l’amore la delizia l’onore delle siciliane muse il secondo Teocrito ed Anacreonte.

La patria riconoscente dal dì della morte dolorosa lo piange, e di aver avuto un tanto figliuolo si gloria, più fra le sciagure presenti, ed un monumento oggidì alla sua memoria innalza per lo scarpello di Valerio Villareale, storiandovi in basso rilievo il poeta seduto in atto di esser coronato da Apollo, cui ha seguito il coro delle muse, tra le quali Erato ed Euterpe condotte per mano di amore, stando ad un tronco di alloro catenato il tempo che a dispetto spezza la sua falce.