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CENNO BIOGRAFICO

DI

GIOVANNI MELI


Giovanni Meli, che l’unanime consentimento, non sol della patria, ma degli stranieri, ha posto al grado de’ più preclari intelletti, di null’altro elogio abbisogna che delle sue produzioni, ove la elevatezza della immaginazione la dilicatezza del sentimento e tutto se stesso trasfuse. Con tutto ciò della sua vita brevemente diremo, perchè si possa innanzi tratto conoscere in qual modo e’ riuscì di ornamento e di vantaggio alla sua terra natale.

E’ nacque addì 4 marzo del 1740 in Palermo, città capitale di Sici ia, da onesti genitori, che tosto alle buone lettere lo avviarono. Ma poco frutto a bella prima ne colse poichè la falsità de’ metodi vanamente raggirollo fra le baie gramaticali per lo corso di sette anni, che da privati maestri, e in seguito alle gesuitiche scuole imparò Dell’istesso modo studiò la rettorica e la filosofia fra le scolastiche puerilità; sicchè nissuno avrebbe potuto da quel tempo antivedere la luminosa riuscita del giovanetto.

Ma ritrattosi a casa cominciò a studiare da se la filosofia del Wolfio che allora cominciava ad essere in voga. Indi lesse taluni romanzi, e tra loro primamente i Reali di Francia che un affezionato zio somministravagli. Così oppoco appoco andava disviluppandosi il suo naturale ingegno il quale poscia con lo studio dei classici, ed il particolar modo dell’Ariosto, la sua possente inclinazione alla poesia appalesò.

Ebbe a primo incoraggiatore Antonio Lucchesi-Palli principe di Campofranco che in sua casa chiamollo a far parte di un’accademia che de’ più chiari letterati di quel tempo componeasi. I primi saggi poetici del Meli furono in italica favella e nel genere anacreontico sul far del Rolli, ma poscia stabilì di scrivere nel volgar siciliano per non dispiacere al suo mecenate, che solo ambiva lode in quel genere di poetare.

Studiò pertanto il siciliano appresso al popolo ed agli scrittori più pregiati che in copia ne ha Sicilia; ma più particolarmen te ebbe a modelli Veneziano e Rao. Se noi volessimo favellare singolarmente di tutte le sue produzioni lunga opera sarebbe, solo cennandole diremo ch’esse sono il più monumento di sua gloria, che «le favole il proclamano il La Fontaine, le satire l’Orazio della Sicilia, il ditirambo pieno di vivacità, ricco di tanti idiotismi che stupendamente il linguaggio ed il far dei beoni rappresentano, mostra che l’autore tien quasi da presso al Redi; sono esempio di sublimità le odi, e tra loro quella al cavaliere Luigi de Medici, l’altra al vicerè principe di Caramanico, e l’inno a Dio; esempio di maestà le canzoni, e più quella per la morte del Carì; di brio e festevolezza i capitoli berneschi; i gravi e l’elegie, e tra tutte il pianto di Eraclito ed il Polemone, palesano quanta filosofia nutriva chi le scrisse, quant’arte possedeva a vestirla di belle forme, e farla agevole a chiunque, e specchio sono del suo compassionevole cuore; i poemetti fan vedere ch’e’ fu primo a conformare le ottave siciliane alla usanza delle italiane, doppiando cioè la rima degli ultimi due versi, mentre che dappria con quella degli altri sei alternavasi; e per dire particolarmente quello della creazione del mondo è un composto di scherzoso e d’instruttivo, e in esso tutti i principali sistemi de’ folosofanti discorronsi, e con nuove e piacevoli fantasie le assurdità se ne disvelano; prodotto di gaia immaginazione e quello della Fata Galante; il Don Chisciotte finalmente eroi-comico poema in 12 canti mostra che se Meli trasse l’eroe della Mancia dalla vita che lo spagnuolo Cervantes ne compose, seppe trovar di sua fantasia mille tra avventure e descrizioni, e dipinger tutto vivamente, controponendo i due principali caratteri dell’eroe e dello scudiero nella buccolica parve rivivere il siracusano Teocrito, in essa la bella natura di Sicilia ritraendo con sobrietà d’immagini e di adornamenti; nelle anacreontiche all’istesso Anacreonte la fama contende, ma il siciliano più per le immagini il greco più